Per una nuova politica estera italiana


Il contesto

Brilla per clamorose lacune o addirittura assenze il dibattito in Italia   sui problemi della politica estera. Disinformata, strumentale, confusa appare la discussione sul tema dell'Unione Europea, certamente centrale nell'attuale momento storico. È compito urgente di tutti i democratici, in particolare di sinistra, colmare, anche solo in parte, questo vuoto culturale e politico, e rifondare gli orizzonti della politica estera italiana. Occorre prioritariamente riprendere il dossier dei rapporti tra Italia ed UE, per puntualizzarne con evidenza le cruciali criticità e impostare gli assi portanti di un nuovo progetto Europa, del tutto diversa da quella attuale. Sugli altri fronti occorre confrontarsi con la gravità della fase storica  che stiamo vivendo: le crescenti minacce per la pace; la rinnovata corsa agli armamenti anche nucleari; chiusure nazionali sempre più conflittuali; la crescita delle disuguaglianze; l'indebolimento dei diritti in tutto l'Occidente; la continua erosione delle istituzioni democratiche a causa del potere soverchiante esercitato da interessi finanziari e industriali, non regolati a livello globale, e che controllano gli esiti della rivoluzione tecnologica in atto; la mancata gestione e conseguente integrazione di flussi migratori, effetto e causa delle sofferenze di intere popolazioni; i pericoli inerenti al deterioramento climatico ed ecologico del pianeta.

Non siamo soli a batterci per un mondo migliore, più libero e più giusto. Non siamo soli perché forze quali la maggioranza di governo in Portogallo, il partito laburista britannico di Jeremy Corbin, Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, i Juso in Germania, la stessa candidatura di Bernie Sanders negli Stati Uniti, stanno a dimostrare la presenza di alternative di governo credibili a mali comuni a tutto l'Occidente.

Per una politica estera dettata dalla Costituzione

Gli obiettivi primari della nostra politica estera si traggono dalla nostra Costituzione:

·               una politica di pace ispirata al rispetto della legalità internazionale, come articolata dalla Carta delle Nazioni Unite;
·               remissione di sovranità quale quella ad un'Europa diversa, davvero unita e democratica.

Per una politica di pace

L'art. 11 della Costituzione esclude la guerra come strumento di soluzione delle controversie tra gli stati, prescrive il rispetto della legalità internazionale e impegna al rafforzamento delle organizzazioni internazionali cui aderiamo: in primo luogo l'ONU, e l'OSCE che può costituire la sua articolazione regionale. Tali principi, se correttamente applicati, consentono all'Italia un ruolo di dialogo con tutte le nazioni e tutti i popoli, in ogni parte del mondo; iniziative di peacekeeping, purché legittimamente decise e autorizzate; azioni non violente di pace e a sostegno di diritti umani, assieme ad altri stati membri delle Nazioni Unite. Quei principi escludono la partecipazione ad atti di guerra da parte di coalitions of the willing, quali la seconda guerra del Golfo o quelle in Afghanistan e in Libia.

Una politica di pace esclude anche una politica industriale finalizzata alla produzione bellica, all'esportazione di armi in palese violazione della legislazione vigente, all'acquisto di armi offensive quali gli F 35.

Una politica di pace impone la firma del trattato per la messa al bando delle armi nucleari, il superamento degli accordi con la NATO e gli Stati Uniti che consentono la presenza di armi nucleari sul suolo italiano e l’operatività di decine e decine di siti militari americani, l’opposizione alla dichiarata intenzione di Trump di imporre agli alleati il dispiegamento di armi nucleari tattiche di ultima generazione ancora più micidiali.

La presenza di armi nucleari a Ghedi e ad Aviano viola il Trattato di non Proliferazione delle armi nucleari (TNP), oltre a costituire una minaccia aggiuntiva alla sicurezza del nostro paese. Alla luce di quanto sopra, riteniamo che un’effettiva politica di pace richieda la riformulazione del ruolo della nostra alleanza con gli USA, che salvaguardi il rispetto del TNP e della nostra indipendenza nazionale, e l'obbligo costituzionale italiano di una politica di pace attiva.

Per una diversa Europa

La strada verso "un'altra Europa" va ripresa con grande energia. Oltre 500 milioni di persone non possono restare privi di una voce a livello globale, nè un futuro mondo pluricentrico può essere privato di un polo che, ispirato alle pagine più alte della sua storia, tenda verso maggiore eguaglianza, libertà, democrazia. Tuttavia, ciò può soltanto avvenire   partendo da una piena consapevolezza dei gravi effetti prodotti dalle disfunzioni dell'attuale assetto europeo. Il nostro gruppo ritiene che una profonda conoscenza  di tali disfunzioni, da approfondire nelle più diverse sedi, sia imprescindibile per costruire gli assi portanti di un nuovo progetto di Europa, che consenta il superamento degli attuali limiti: quelli relativi alla rappresentatività politica e democratica; il ricorso continuativo a procedure intergovernative; la politica di austerità fiscale a spese di cittadini e stati più deboli, e a favore di   interessi finanziari preponderanti e privilegiati; la mancanza di una governance politica e democratica dell'eurozona. Il progetto di una Nuova Europa deve rendere le istituzioni politiche europee realmente democratiche; introducendo la responsabilità politica della Commissione nei riguardi del Parlamento, che dovrà diventare l’istituzione cardine del nuovo impianto, dotato dunque di poteri legislativi e di vigilanza politica sull’operato della Commissione europea. Occorre da subito cancellare il fiscal compact, contrastare  le diseguaglianze; creare  una politica estera comune e una difesa integrata; perseguire una politica dell'immigrazione fondata su equità distributiva degli oneri, su principi umanitari di rispetto della dignità e della vita  del migrante, su meccanismi efficaci di accoglienza, sulla valutazione dei problemi demografici che investono i Paesi europei, sulla promozione di adeguate politiche di cooperazione e sviluppo nei confronti dei Paesi di provenienza. I principi democratici, a suo tempo sanciti dalla Dichiarazione di Copenhagen, devono essere rispettati dai membri – a cominciare dai c.d. governi di Visegrad – oltre che da nuovi stati membri. Ne consegue peraltro l'urgenza di un obiettivo ormai dimenticato: la costituzione di un seggio permanente europeo che rafforzerebbe la legittimazione, oltre che dell’Europa, dello stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in un mondo ormai multipolare. Si tratta, va detto, di una battaglia assai difficile, in un contesto ormai obsoleto, in cui la Francia non ha mai accennato alla disponibilità di rinunciare al suo seggio, mentre la Germania continua a perseguire l’obiettivo di entrare nel CdS con un seggio   permanente e il Regno Unito è ormai avviato su un percorso fuori dall’Ue.

La moneta comune ha trovato nel passato la sua giustificazione storica quale primo, cruciale traguardo per arrivare un giorno a costruire un’autentica federazione europea.
Tale può restare soltanto a condizione che siano realizzati obiettivi essenziali, quali l’armonizzazione fiscale e la governance politica. Finora la moneta unica si è risolta in un meccanismo di tutela degli interessi (politici, non soltanto economici) dei paesi più forti, in primo luogo della Germania, e di irrecuperabile arretramento dei paesi meno competitivi, come l'Italia, favorendo prevaricazioni dei primi contro i secondi: una situazione del tutto insostenibile che mina alle fondamenta il progetto di un'Europa comune. È ad esempio ben noto che la Germania stigmatizza senza pietà l'elevato debito pubblico italiano e di altri stati, ma si guarda bene dall'usare lo stesso metro di giudizio nei riguardi del proprio forte surplus commerciale, sistematicamente superiore al 6%, limite massimo stabilito dai parametri europei. In tal modo risulta artificialmente alto il valore della moneta europea, a danno degli altri paesi dell’eurozona, contribuendo a perpetuare uno scompenso prevedibilmente fatale per l’euro e forse per la stessa 'Unione Europea. Deve essere alta la consapevolezza italiana di tali disfunzioni e del danno insopportabile, in via di ulteriore aggravamento, subito dall'Italia. Le politiche confuse e conservatrici passivamente perpetrate in passato dai nostri Governi non sono oggi più tollerabili.

Sono le strategie economiche dell'UE che vanno drasticamente rinnovate. L'Europa deve essere un motore di crescita sostenibile, non un ostacolo alla creazione di ricchezza. La Banca Centrale Europea, come la statunitense Federal Reserve, deve perseguire l’obiettivo della crescita e della lotta alla disoccupazione e non solo quello del controllo dell’inflazione, in collaborazione con le istituende istituzioni europee democratiche. È altresì da non dimenticare che le politiche di austerità, applicate senza correttivi, distruggono ricchezza, specie quando un paese è gravato da un elevato debito pubblico.

L’Italia deve lavorare, da subito, insieme ad altri paesi europei, per promuovere indispensabili correttivi, quali l’esclusione dal patto di stabilità delle spese in infrastrutture di interesse comune, e investimenti ad alto moltiplicatore capaci di dare un contributo rilevante sia alla domanda che all’occupazione. Una battaglia politica che, per essere credibile, dovrà tuttavia essere accompagnata, nell'ambito nazionale, da politiche di efficace risanamento, quale un’azione molto più decisa di lotta all’evasione fiscale e alla corruzione, di contrasto alle mafie e agli sprechi di denaro pubblico, di lotta alle disuguaglianze, di promozione della cultura e della formazione.
Un’Europa Unita è prospettiva e futuro, anche per una generazione che se ne sente già parte. Essa costituisce anche un antidoto – parte essenziale dell’identità storica della sinistra italiana -  ad una degenerazione della nostra politica transatlantica che occorre riconoscere e correggere.

Crediamo che tale strategia di crescita politica, economica, democratica dell'Europa non debba e non possa essere demandata alla destra che, per sua sensibilità, e vocazione, è ispirata da grandi potentati economici e finanziari, dall'interesse di nazionalismi; è frequentemente condizionata da populismi opportunistici e strumentali, da suggestioni autoritarie; da una prevaricazione dei diritti dei deboli. È invece  ricercando nel progetto europeo l'affermazione di obiettivi di eguaglianza, democrazia, di cultura solidale, di crescita dei diritti civili e del welfare, di convivenza pacifica tra i popoli, ci appare imprescindibile  che la costruzione di una diversa Europa attinga ai valori di una nuova sinistra  e diffidi radicalmente di quanti nel parlamento italiano guardano come proprio modello agli schemi brutali del lepenismo, di Orban, dell'Europa di Visegrad o alla stessa miope, attuale percezione di un' Europa malata, conservatrice ed burocratica che trova nella violazione costante del principio di sussidiarietà un surrogato alla sua mancanza di consapevolezza e vocazione politica.

Per il superamento della nostra subalternità atlantica. Rapporti con gli Stati Uniti e con la Russia

L’operato dell’attuale presidente degli Stati Uniti è sintomo e non causa del declino del potere relativo del suo paese e delle difficoltà in cui versano le sue istituzioni.  Accanto alla Brexit, l’ulteriore militarizzazione della politica estera statunitense, insieme alle crescenti minacce alla pace in Medio Oriente e al nuovo protagonismo, non solo economico ma anche politico della Cina, sollecitano la costruzione di un’Europa politica. Un mondo ormai irreversibilmente multipolare (e multicentrico) rende urgente il rafforzamento e la riforma del sistema delle Nazioni Unite. L’alternativa è quella di una pericolosa instabilità governata da una Realpolitik ottocentesca, al servizio delle grandi potenze e delle grandi corporazioni finanziarie transnazionali che a quelle fanno riferimento.
In questo contesto l’Italia deve liberarsi non dall’amicizia nei confronti del popolo americano, ma dalla sua subalternità nei confronti degli Stati Uniti. Essa tuttora si manifesta, nella nostra partecipazione, in forme subalterne, dispendiose di vite umane e risorse pubbliche, ad azioni militari americane che si concludono regolarmente in sconfitte politiche che hanno lasciato i paesi investiti fisicamente distrutti: pericolosi motori di odio e di terrorismo. Non di rado questa condizione di subalternità prevale anche su interessi economici italiani legittimi. Una revisione in senso opposto della politica estera italiana si traduce nell’immediato, in sede NATO, nel rafforzamento del polo di difesa europeo e in una politica di autoesclusione (“opting out”), ove non esistano le condizioni per l’esercizio di un potere di veto, di fronte a decisioni che non corrispondono agli interessi strategici dell’Europa e del nostro paese. Si tratta di un’innovazione necessaria quanto ardua della politica estera italiana.

I rapporti con la Russia meritano un’attenzione specifica. E’ nell’interesse dell’Europa, quindi anche nostro, intrattenere rapporti pacifici e di scambio con la vicina Russia, senza cadere in un’opposta subalternità. Sotto la guida di Vladimir Putin, la Russia ha tentato di recuperare un ruolo da protagonista mondiale e di dominio regionale (anche in risposta alla politica di espansione territoriale della NATO) reagendo con iniziative unilaterali nei confronti di stati confinanti un tempo parte dell’Unione Sovietica, come la Georgia e l’Ucraina, anche in violazione del diritto internazionale. La conseguente ripresa della tensione tra Washington e Mosca, quasi un ritorno alla Guerra fredda, ha trovato potenti sostenitori da una parte e dall’altra. Dal punto di vista statunitense essa ha giustificato la continua espansione della spesa militare, mentre la NATO, che sulla carta è un’alleanza difensiva, va diventando un’alleanza aggressiva.  Nella logica di Mosca un ritorno sia pure temporaneo ad un bipolarismo con gli Stati Uniti ha contribuito al rilancio di un’ambiziosa politica estera che le consente un ruolo da protagonista nella perenne crisi mediorientale.

Che tutto ciò avvenga soprattutto a spese dell’Europa, è del tutto evidente. Le grossolane ambiguità dell’amministrazione Trump, oscillante tra conflitti d’interesse, sia politici che finanziari, nei confronti di Mosca, e la ripresa di una corsa agli armamenti persino nucleari, costituisce un ulteriore stimolo ad una politica estera europea indipendente   e all’accelerazione di quei pur timidi passi verso una difesa europea comune, ispirata a principi di sicurezza umana, e, come passo intermedio, alla costituzione di un polo europeo all’interno della NATO, da sempre osteggiato da Washington.


L’Italia nel Mediterraneo

La sua collocazione geografica rende l’Italia un paese cruciale nella dinamica politica del Mediterraneo, teatro attuale di numerose crisi.

Ribadiamo, in continuità con la politica estera italiana ed europea, che nessuna pace sarà possibile in Medio Oriente prescindendo dalla costituzione di due entità statali in Israele e Palestina. Confermiamo la formula "due Stati due popoli" con pari dignità e pari diritti. In coerenza con essa il processo negoziale andrebbe ripreso sostenendo la fine dell'embargo di Gaza e affermando la libera circolazione dei palestinesi nei territori e all'estero. Questa posizione risulta coerente con quella assunta dalle Nazioni Unite con la risoluzione 212 del Consiglio di Sicurezza e con lo status di Gerusalemme, confermato dal voto recente di condanna dell’iniziativa unilaterale degli Stati Uniti. Sono, invece, ingiustificabili, le concessioni del governo Gentiloni all’alleanza promossa dagli Stati Uniti guidati da Trump, da Netanyahu e dall’Arabia Saudita, prima sostenitrice del terrorismo di marca sunnita, contro l’Iran e altre aggregazioni di ispirazione sciita e il contributo all’eccidio in corso nello Yemen, con il sostegno di armi anche italiane.

La tragica vicenda del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni sequestrato, torturato e ucciso da agenti del regime egiziano ha evidenziato l'inadeguatezza delle iniziative diplomatiche messe in campo. I depistaggi e la mancata collaborazione delle autorità egiziane con gli inquirenti italiani avrebbero dovuto rimodulare la tempistica relativa al reinsediamento del nostro Ambasciatore al Cairo. Il quadro ormai sufficientemente chiaro delle responsabilità di esecutori e mandanti esige una verità processuale, quale condizione irrinunciabile per ridefinire normali e funzionali relazioni.

Dal punto di vista della sicurezza e di una corretta difesa dei diritti umani, gravi risultano le politiche condotte dal precedente governo sul territorio libico, a partire da un intervento militare tragicamente destabilizzante. Dopo una serie di rivendicazioni velleitarie di un ruolo di punta dell’Italia nella successiva occupazione militare del paese è subentrata, in fase di contenimento dell'immigrazione verso l'Italia, la molto discussa   azione dell'ex ministro Minniti. Con metodi largamente condannati dagli alti commissari per i diritti umani dell’ONU e del Consiglio d’Europa, il ministro dell’interno italiano, negoziando con alcune tribù libiche, e con l’ausilio della guardia costiera locale, ha condizionato pesantemente, in violazione di norme Costituzionali e Convenzionali,  l'opera  di salvataggio di vite umane di alcune ONG e della stessa guardia costiera italiana, nel tentativo in parte riuscito di diminuire il flusso migratorio verso l'Italia, costringendo così i rifugiati a restare in Libia, nelle drammatiche condizioni a tutti note. Ciò è avvenuto mediante la trasformazione di scafisti in gestori di campi di concentramento, teatri di ogni sorta di prevaricazioni nei confronti di vittime inermi, al di fuori di ogni presenza, se non episodica, e di ogni controllo da parte dell’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) e di altro personale internazionale.

Quest’opera di contenimento dell’immigrazione è stata completata, d’intesa con la Francia, dal controllo dei paesi confinanti con la Libia, al fine di respingere migranti provenienti dall’Africa subsahariana. In questo contesto va iscritto l’intervento militare italiano nel Niger. Finora le successive politiche delineate dal governo Gentiloni, atte a stabilire un controllo dell’UNHCR sui campi di detenzione e a garantire corridoi d’accesso sicuri a 40.000 richiedenti asilo in Europa, sono largamente rimaste sulla carta, servendo nel contempo a difesa d’ufficio dalle critiche della comunità internazionale. Questa linea politica trova largo consenso nei proponimenti del nuovo ministro dell'interno Matteo Salvini che, quanto meno negli annunci, intende confermarla e proseguirla aggravandone gli effetti in termini di riduzione dell'accoglienza e ampliamento di respingimenti ed espulsioni. Teniamo conto che continuerà anche l'opera, già iniziata, di delegittimazione e criminalizzazione delle ONG e degli operatori del soccorso. Appare pertanto imprescindibile sollecitare con rigore il governo Lega-5stelle al rispetto delle leggi e delle norme vigenti e ad un pieno recupero della dignità umana nelle operazioni di trasferimento ed ospitalità dei migranti.

L'Italia e i Balcani.

Né l’Italia può trascurare quanto avviene su un'altra sponda del Mediterraneo. Anche a seguito del malessere economico diffusamente creato nei Balcani dalla crisi globale, la prospettiva di stabilizzazione si va logorando. Mentre riprende un pericoloso rigurgito di antichi nazionalismi, si registrano presenze sempre più ingombranti dal punto di vista degli obiettivi e degli interessi europei e italiani (Russia, paesi del Golfo, Stati Uniti, Cina e Turchia). Per contenere una sottovalutata minaccia di conflittualità balcanica, occorre, da parte europea e italiana alzare decisamente il livello di vigilanza e di collaborazione, mirando alla stabilizzazione politica ed economica dell'area. Per favorire la trasformazione dei Balcani in una regione di pace, di benessere e di cooperazione solidale con l'Europa, occorre un rinnovato impegno per favorire lo scioglimento dei nodi politici tra gli stati, contribuire alla promozione della crescita economica, accelerare con oculatezza le procedure d’integrazione nell’UE degli stati che ancora non ne fanno parte. L’Europa e l'Italia non devono sottovalutare, come avvenuto finora, la dimensione dell'impegno necessario né la gravità dei danni conseguenti a un eventuale fallimento. Conditio sine qua non del successo sono la cooperazione ai fini della riforma degli stati candidati in tema di potere giudiziario e legalità, di funzioni amministrative e una lotta decisa alla corruzione e alle pratiche malavitose.

Oltre al rafforzamento della cooperazione economica, non certo di secondario interesse per l'Italia, inoltre, è il ruolo che può giocare la nostra cultura attraverso progetti di promozione culturale, bilaterali ed europei.

Migrazioni e immigrazione

Come abbiamo già detto rimane urgente la necessità di una nuova politica comune europea riguardante l’immigrazione, a partire dal varo di una legislazione comune che armonizzi davvero il diritto d'asilo tra i 28 Paesi membri e ridistribuisca equamente gli oneri. 

L’immigrazione non è solo una istanza umanitaria cui la plurimillenaria civiltà europea non può sottrarsi, ma se si traduce in una integrazione qualitativamente realizzata, è anche una risorsa di rilevante importanza. Per quanto riguarda l'Italia essa contribuisce al contenimento del deficit demografico, compensando la diminuzione delle nascite e la nuova emigrazione di italiani; sostiene il nostro sistema previdenziale e fiscale; fornisce energie e spirito di iniziativa nella soluzione di problemi di vita quotidiana e di rinnovamento dell’economia; annoda rapporti commerciali e culturali con i Paesi di provenienza; favorisce fenomeni di integrazione multiculturale. A condizione tuttavia che il governo disponga di adeguate risorse, reperibili solo attraverso una diversa politica fiscale e monetaria dell’Eurozona.

Un'integrazione di qualità, proficua economicamente, socialmente, culturalmente, può originare da un'accoglienza  funzionale e dalla gestione della irregolarità, che sappia accompagnare il migrante  nell'itinerario integrativo, fornendo ad esso servizi, risorse, capacità formative adeguate Le stigmatizzate insufficienze del nostro sistema di accoglienza sul piano linguistico, culturale e formativo richiedono una riforma profonda delle responsabilità gestionali, delle competenze e della vigilanza sulle attività relative all'accoglienza. Vanno pertanto rigettati I propositi del Governo 5Stelle-Lega di riduzione delle risorse destinate all’accoglienza, riconoscendo il ruolo positivo delle ONG nelle operazioni di salvataggio.

La proposta di riforma del 2017 del Regolamento di Dublino maturata nell'Unione Europea va, a nostro avviso, nella direzione giusta: supera l'obbligo di asilo nel primo paese di arrivo; introduce importanti novità sotto il profilo dell'accoglienza privilegiando la collocazione dei richiedenti asilo in quei luoghi (nazioni europee) dove essi hanno legami parentali e di comunità forti e stabili, riducendo così non solo i costi dell'accoglienza ma soprattutto i patimenti e i costi umani di chi fugge da guerre, fame e miseria. 

Temiamo che tale processo possa subire pericolose involuzioni e nonostante la bocciatura della proposta della Presidenza bulgara in sede di Consiglio dei ministri dell'interno dell'UE tenutosi a Lussemburgo il 5 giugno scorso, urge per l'Italia una nuova intesa dei Paesi UE sotto l'egida di una equa distribuzione dei richiedenti asilo e di una collocazione che tenga conto dei legami parentali e di comunità dei richiedenti.
Si tratta per l'Italia di attivare un processo negoziale che favorisca una conveniente ed efficace forma di compromesso tra le diverse posizioni espresse a Lussemburgo, partendo dalla consapevolezza che tra i membri più lontani dalle nostre posizioni vi sono proprio quelli aderenti al gruppo di Visegrad, nei confronti dei quali, il nostro Governo vanta una esplicita vicinanza.    


Il fatto storico delle migrazioni che investono in particolare l’Europa esige anche un salto di qualità da parte dell’Unione europea nei confronti del continente africano nel suo insieme con politiche europee più coerenti: coerenza delle politiche commerciali (evitando accordi sbilanciati e/o dannosi, anche attraverso politiche attive di trasparenza e controllo, in particolare sulla tracciabilità delle materie prime importate e sul rispetto dei codici etici relativi alla responsabilità d'impresa secondo il Global Compact delle Nazioni Unite), politiche fiscali (evitando di agevolare l’elusione fiscale in Africa), e politiche della cooperazione più efficaci, che sostengano istituzioni democratiche, lo sviluppo sostenibile e non si esauriscano in misure di sicurezza gestite da eredi di presenze coloniali.

Iran e la questione nucleare

Per quanto riguarda l’Iran, è evidente che l’accordo nucleare vada onorato da tutti. Se Teheran lo rispetta - questo è il giudizio dell’Agenzia Atomica Internazionale -, anche Washington deve rispettarlo. Poiché   gli Stati Uniti intendono seguire una strada diversa, ciò richiede l’inizio di una nuova, necessaria indipendenza di azione: quel decoupling su cui cominciare a costruire l’Europa politica. In assenza di violazioni del trattato sottoscritto dall’Iran, non solo l’Europa non può e non deve applicare sanzioni nei suoi confronti, ma deve prendere adeguate contromisure nei confronti di sanzioni statunitensi nei confronti di società europee che ad esse non si adeguano. A questo proposito va tenuto presente che il trattato di non proliferazione nucleare (TNP) può reggere la prova del tempo soltanto se viene attuato in tutte le sue parti, compresa quella che impone l’obbligo alle potenze nucleari di procedere sulla via del disarmo, e se viene estesa alle potenze nucleari non firmatarie (ad esempio, Israele), postulando l’obiettivo di una denuclearizzazione dell’intera area mediorientale tale da sottrarre l’Iran ad una condizione in cui risulta circondata da potenze nucleari (India, Pakistan, Russia, Israele)

Solo l’apertura economica, culturale e politica tra quel paese e la società internazionale potrà creare le condizioni per un graduale cambiamento di atteggiamento da parte del regime nei riguardi della società civile interna e dei diritti umani. E’ invece indispensabile chiedersi se una politica punitiva nei confronti del regime favorisca o indebolisca l’opposizione interna. La storia insegna che le sanzioni (con l’eccezione, forse, di quelle che precedettero la fine dell'apartheid in Sud Africa), rafforzano il regime colpito dalle sanzioni stesse.

Non v’è dubbio che l’Iran sia una dittatura teocratica con un pesante deficit di rispetto dei diritti umani. Ciononostante, per evitare che quel paese resti isolato dalla comunità internazionale o peggio che segua il destino dell’ex-Jugoslavia o della Siria, esso andrebbe aiutato a incorporarsi a pieno titolo nella dinamica dei rapporti internazionali. La sua sicurezza non va minacciata, come fanno quotidianamente americani e israeliani, in appoggio alla politica anti-sciita dell’Arabia Saudita, mentre la sua economia andrebbe aiutata ad integrarsi con l’Europa e l’Occidente. In tal modo - senza spargimento di sangue e nel rispetto delle caratteristiche storiche, culturali, religiose di quel popolo –potrebbero crearsi le condizioni per una graduale apertura politica, una diversa attenzione ai diritti umani e alle libertà civili, e un giorno forse finanche lo sviluppo di istituzioni democratiche.

In Medio Oriente, ancor più che altrove, la pace deve diventare la stella polare della politica europea. L’Italia e l’Europa devono porre al centro della loro azione il dialogo e la soluzione pacifica delle controversie, unendo alla pazienza utili incentivi quali un serio programma di aiuto allo sviluppo e il sostegno alla costruzione di istituzioni politiche inclusive, agendo direttamente o attraverso le organizzazioni internazionali, in primo luogo le Nazioni Unite.

La Cina, sempre più vicina

Come per altri paesi, anche per l’Italia la Cina è oggi un paese imprescindibile sotto il profilo economico, e sempre più sotto quello politico. Per giungere a un’interazione bilanciata con il gigante cinese servono però conoscenza, efficienza e una rete di relazioni con tante nervature del sistema cinese, di cui oggi l’Italia non è in possesso.

Sui temi commerciali i trattati hanno trasferito all’Unione Europea quelle competenze un tempo gestite dai singoli stati. La Germania è oggi, insieme alla Finlandia, l’unico paese a registrare un avanzo commerciale con la Cina, con il risultato che Berlino impone all’Europa unaChina Policy funzionale ai suoi interessi attraverso il forte peso che esercita sulle istituzioni dell’Unione. L’Amministrazione italiana dunque, dopo aver acquisito una genuina e approfondita conoscenza del mondo cinese e del funzionamento del commercio e dell’economia internazionali ad esso correlati, dovrebbe far sentire più forte la sua voce – sul piano bilaterale ed europeo - affinché le relazioni con la Cina divengano gradualmente più bilanciate.

Un habitat anche nostro

La ricerca di una politica di salvaguardia dell’ambiente rende esemplare l’intreccio tra qualsiasi obiettivo significativo a livello nazionale e la continuità di un impegno a livello globale, di cui costituiscono esempi significativi la piena applicazione del trattato di Parigi e l’esigenza, grazie anche ad una iniziativa italiana per la convocazione di una conferenza mondiale,di sottrarre i circoli polari a teatro di rivalità tra gli stati territorialmente in competizione ai fini di sfruttamento energetico. Il nostro paese offre delle potenzialità straordinarie per una nuova economia fondata sulla conversione ecologica, sulla salvaguardia e valorizzazione dei beni ambientali e culturali. Per la ricchezza delle sue risorse, ma anche per l’urgenza ovvia della loro tutela, esse offrono ampie possibilità di salvaguardia dell’ambiente, restauro e valorizzazione di tesori culturali (si pensi ai borghi medievali abbandonati e al loro potenziale di sviluppo agricolo, pastorale, boschivo e turistico), una nuova agricoltura biologicamente corretta e, di conseguenza, di crescita dell’occupazione specie giovanile,  integrazione dell’immigrazione e persino di trasformazione di beni sottratti alla criminalità organizzata.



Uno Stato all’altezza delle sfide globali

Recenti episodi, non soltanto l’operato di Minniti in Libia, segnalano il rischio che la politica estera sia sequestrata da quella preposta alla sicurezza interna, nel caso dell’Italia, con un ruolo del ministero dell’Interno e dei servizi di sicurezza che sfugge al controllo del Parlamento. Oltre al problema che ciò pone dal punto di vista della salvaguardia democratica della Repubblica, è necessario che la politica di sicurezza non ostacoli, ma contribuisca a garantire la promozione della politica culturale e ambientale del paese, a fondamento dello sviluppo di una nuova e diversa economia.

Qui basti dire che la Farnesina non deve sottovalutare il ruolo e il peso che la promozione delle nostre risorse culturali ed ambientali deve assumere nel contesto della politica estera italiana. Alla nostra diplomazia, coadiuvata dalla rete degli istituti di cultura, spetta naturalmente il ruolo di coordinamento e di sintesi dei soggetti e delle energie che si muovono in questa direzione.

Va radicalmente ripensato il meccanismo con cui viene gestito il voto degli italiani all’estero. In termini più generali il corretto funzionamento delle istituzioni statali, una profonda riforma di ogni ambito della pubblica amministrazione  per renderla pienamente trasparente, con funzionari responsabili (accountable) ed efficienti, affinché gli uffici pubblici siano davvero al servizio dei cittadini, la semplificazione legislativa, il rispetto della legalità, la lotta senza quartiere alla corruzione e la promozione dell’integrità come valore pubblico costituiscono condizioni senza le quali un’efficace proiezione di nostri interessi legittimi e della stessa politica estera italiana resteranno delle semplici affermazioni di principio.

Se sotto la superfice alberga un’immagine dell’Italia assai poco consolatoria, le sue criticità sono da attribuire ai mali storici di una governabilità inadeguata, un apparato amministrativo in larga parte obsoleto, corruzione diffusa, criminalità organizzata invasiva, ostilità normativa e amministrativa verso il mondo del lavoro e dell'impresa. Debolezze che hanno esposto il paese ai pesanti contraccolpi dovuti a una globalizzazione senza regole subita senza reti protettive da un’economia esposta sui costi e con minime capacità d'innovazione.

Solo un pieno recupero di efficienza dello Stato, una sua capacità di generare idee e attuarle con trasparenza e agilità, potrebbero consentire all’Italia un ruolo cruciale nella costruzione di un’altra Europa, totalmente diversa da quella attuale.

Conclusioni operative

Queste riflessioni minimamente approfondite sono a disposizione di chiunque avesse l’ambizione di interrompere l'assordante silenzio della politica internazionale nella discussione pubblica. In conclusione ci sentiamo di sostenere alcuni elementi di analisi e proposte operative.

In estrema sintesi:

a) La crisi italiana è parte di una crescente ineguaglianza, di un conseguente indebolimento della democrazia e dei diritti di libertà in tutto l’Occidente, delle disfunzioni funzionali e perequative nell'ambito dell'Unione Europea.

b) Per farvi fronte è necessaria un’Europa sempre più unita, ma anche più democratica; soprattutto ispirata ad una politica, alternativa a quella vigente, esempio di pace e di maggiore eguaglianza.

c) Noi ci battiamo per alcuni obiettivi immediatamente realizzabili, anche dalla sola Italia, che rappresentino un nuovo e diverso indirizzo dei nostri rapporti internazionali. In particolare:

1.          la firma del trattato per la messa al bando delle armi nucleari;
2.          piena trasparenza e discussione in Parlamento degli accordi che regolano la presenza militare di forze armate straniere su territorio italiano;
3.          immediato ritiro delle missioni italiane in Afghanistan, Libano e Iraq, dal momento che esse non portano alcun beneficio all’Italia, ma si limitano a perpetuare la subordinazione politica anche di questo governo giallo-verde nei confronti del dominio americano per aver perso una guerra oltre 70 anni fa;
4.          il perseguimento della piena occupazione in ogni possibile modo;
5.          la lotta alle disuguaglianze, alla criminalità organizzata e all’evasione fiscale;
6.          la tutela dei servizi sociali, sanità, potere d’acquisto delle pensioni, lotta ai privilegi;
7.          l’abolizione della norma costituzionale del pareggio di bilancio approvata dal Parlamento nel 2012;
8.          una forte opposizione presso le Istanze europee contro il Fiscal Compact, approvato dal Consiglio Europeo il 30 gennaio 2012, e contro il quale si era espresso persino il Parlamento Europeo, pronunciamento questo del tutto ignorato dal Consiglio Europeo, dominato dalla Germania;
9.          L'immediata cessazione della fornitura di armi a stati e fazioni belligeranti (seguendo l’esempio della Svezia riguardo allo Yemen);
10.       il riconoscimento dello stato della Palestina con relativo scambio di ambasciatori;
11.       immediata approvazione di una legge che riconosca diritto di cittadinanza a coloro che sono nati in Italia o che vi abbia realizzato un’adeguata e duratura formazione scolastica.

Gian Giacomo Migone
Alessandra Ballerini
Mario Bova
Alberto Bradanini
Tana de Zulueta
Maurizio Gressi










Roma 22 giugno 2018


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