Il contesto
Brilla per clamorose
lacune o addirittura assenze il dibattito in Italia sui problemi della
politica estera. Disinformata, strumentale, confusa appare la discussione sul
tema dell'Unione Europea, certamente centrale nell'attuale momento storico. È
compito urgente di tutti i democratici, in particolare di sinistra, colmare,
anche solo in parte, questo vuoto culturale e politico, e rifondare gli
orizzonti della politica estera italiana. Occorre prioritariamente
riprendere il dossier dei rapporti tra Italia ed UE, per puntualizzarne con
evidenza le cruciali criticità e impostare gli assi portanti di un nuovo
progetto Europa, del tutto diversa da quella attuale. Sugli altri fronti
occorre confrontarsi con la gravità della fase storica che stiamo
vivendo: le crescenti minacce per la pace; la rinnovata corsa agli armamenti
anche nucleari; chiusure nazionali sempre più conflittuali; la crescita delle
disuguaglianze; l'indebolimento dei diritti in tutto l'Occidente; la continua
erosione delle istituzioni democratiche a causa del potere soverchiante
esercitato da interessi finanziari e industriali, non regolati a livello
globale, e che controllano gli esiti della rivoluzione tecnologica in atto; la
mancata gestione e conseguente integrazione di flussi migratori, effetto e
causa delle sofferenze di intere popolazioni; i pericoli inerenti al
deterioramento climatico ed ecologico del pianeta.
Non siamo soli a
batterci per un mondo migliore, più libero e più giusto. Non siamo soli perché
forze quali la maggioranza di governo in Portogallo, il partito laburista
britannico di Jeremy Corbin, Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, i Juso in
Germania, la stessa candidatura di Bernie Sanders negli Stati Uniti, stanno a dimostrare
la presenza di alternative di governo credibili a mali comuni a tutto
l'Occidente.
Per una politica estera dettata dalla
Costituzione
Gli obiettivi primari
della nostra politica estera si traggono dalla nostra Costituzione:
·
una politica di pace ispirata al rispetto della
legalità internazionale, come articolata dalla Carta delle Nazioni Unite;
·
remissione di sovranità quale quella ad un'Europa
diversa, davvero unita e democratica.
Per una politica di pace
L'art. 11 della
Costituzione esclude la guerra come strumento di soluzione delle controversie
tra gli stati, prescrive il rispetto della legalità internazionale e impegna al
rafforzamento delle organizzazioni internazionali cui aderiamo: in primo luogo
l'ONU, e l'OSCE che può costituire la sua articolazione regionale. Tali
principi, se correttamente applicati, consentono all'Italia un ruolo di dialogo
con tutte le nazioni e tutti i popoli, in ogni parte del mondo;
iniziative di peacekeeping, purché legittimamente decise e autorizzate;
azioni non violente di pace e a sostegno di diritti umani, assieme
ad altri stati membri delle Nazioni Unite. Quei principi escludono la
partecipazione ad atti di guerra da parte di coalitions of the willing,
quali la seconda guerra del Golfo o quelle in Afghanistan e in Libia.
Una politica di pace
esclude anche una politica industriale finalizzata alla produzione bellica,
all'esportazione di armi in palese violazione della legislazione vigente,
all'acquisto di armi offensive quali gli F 35.
Una politica di pace
impone la firma del trattato per la messa al bando delle armi nucleari, il
superamento degli accordi con la NATO e gli Stati Uniti che consentono la
presenza di armi nucleari sul suolo italiano e l’operatività di decine e decine
di siti militari americani, l’opposizione alla dichiarata intenzione di
Trump di imporre agli alleati il dispiegamento di armi nucleari tattiche
di ultima generazione ancora più micidiali.
La presenza di armi
nucleari a Ghedi e ad Aviano viola il Trattato di non Proliferazione delle armi
nucleari (TNP), oltre a costituire una minaccia aggiuntiva alla sicurezza del
nostro paese. Alla luce di quanto sopra, riteniamo che un’effettiva politica di
pace richieda la riformulazione del ruolo della nostra alleanza con gli USA,
che salvaguardi il rispetto del TNP e della nostra indipendenza nazionale, e
l'obbligo costituzionale italiano di una politica di pace attiva.
Per una diversa Europa
La strada verso
"un'altra Europa" va ripresa con grande energia. Oltre 500 milioni di
persone non possono restare privi di una voce a livello globale, nè un futuro
mondo pluricentrico può essere privato di un polo che, ispirato alle pagine più
alte della sua storia, tenda verso maggiore eguaglianza, libertà, democrazia.
Tuttavia, ciò può soltanto avvenire partendo da una piena consapevolezza dei gravi
effetti prodotti dalle disfunzioni dell'attuale assetto europeo. Il nostro
gruppo ritiene che una profonda conoscenza di tali disfunzioni, da
approfondire nelle più diverse sedi, sia imprescindibile per costruire gli assi
portanti di un nuovo progetto di Europa, che consenta il superamento degli
attuali limiti: quelli relativi alla rappresentatività politica e democratica;
il ricorso continuativo a procedure intergovernative; la politica di
austerità fiscale a spese di cittadini e stati più deboli, e a favore di
interessi finanziari preponderanti e privilegiati; la mancanza di una governance politica e democratica
dell'eurozona. Il progetto di una Nuova Europa deve rendere le istituzioni
politiche europee realmente democratiche; introducendo la responsabilità
politica della Commissione nei riguardi del Parlamento, che dovrà diventare
l’istituzione cardine del nuovo impianto, dotato dunque di poteri legislativi e
di vigilanza politica sull’operato della Commissione europea. Occorre da subito
cancellare il fiscal compact, contrastare le diseguaglianze; creare una
politica estera comune e una difesa integrata; perseguire una politica
dell'immigrazione fondata su equità distributiva degli oneri, su principi
umanitari di rispetto della dignità e della vita del migrante, su
meccanismi efficaci di accoglienza, sulla valutazione dei problemi demografici
che investono i Paesi europei, sulla promozione di adeguate politiche di
cooperazione e sviluppo nei confronti dei Paesi di provenienza. I principi
democratici, a suo tempo sanciti dalla Dichiarazione di Copenhagen, devono
essere rispettati dai membri – a cominciare dai c.d. governi di Visegrad –
oltre che da nuovi stati membri. Ne consegue peraltro l'urgenza di un obiettivo
ormai dimenticato: la costituzione di un seggio permanente europeo che
rafforzerebbe la legittimazione, oltre che dell’Europa, dello stesso Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite in un mondo ormai multipolare. Si tratta, va
detto, di una battaglia assai difficile, in un contesto ormai obsoleto, in cui
la Francia non ha mai accennato alla disponibilità di rinunciare al suo seggio,
mentre la Germania continua a perseguire l’obiettivo di entrare nel CdS con un
seggio permanente e il Regno Unito è
ormai avviato su un percorso fuori dall’Ue.
La moneta comune ha trovato nel passato
la sua giustificazione storica quale primo, cruciale traguardo per arrivare un
giorno a costruire un’autentica federazione europea.
Tale può restare
soltanto a condizione che siano realizzati obiettivi essenziali, quali
l’armonizzazione fiscale e la governance politica. Finora la moneta unica si è
risolta in un meccanismo di tutela degli interessi (politici, non
soltanto economici) dei paesi più forti, in primo luogo della Germania, e di
irrecuperabile arretramento dei paesi meno competitivi, come l'Italia,
favorendo prevaricazioni dei primi contro i secondi: una situazione del tutto
insostenibile che mina alle fondamenta il progetto di un'Europa comune. È ad
esempio ben noto che la Germania stigmatizza senza pietà l'elevato debito
pubblico italiano e di altri stati, ma si guarda bene dall'usare lo stesso
metro di giudizio nei riguardi del proprio forte surplus commerciale,
sistematicamente superiore al 6%, limite massimo stabilito dai parametri
europei. In tal modo risulta artificialmente alto il valore della moneta
europea, a danno degli altri paesi dell’eurozona, contribuendo a perpetuare uno
scompenso prevedibilmente fatale per l’euro e forse per la stessa 'Unione
Europea. Deve essere alta la consapevolezza italiana di tali disfunzioni e del
danno insopportabile, in via di ulteriore aggravamento, subito dall'Italia. Le
politiche confuse e conservatrici passivamente perpetrate in passato dai nostri
Governi non sono oggi più tollerabili.
Sono le strategie economiche dell'UE che
vanno drasticamente rinnovate. L'Europa deve essere un motore di crescita
sostenibile, non un ostacolo alla creazione di ricchezza. La Banca Centrale
Europea, come la statunitense Federal Reserve, deve perseguire
l’obiettivo della crescita e della lotta alla disoccupazione e non solo quello
del controllo dell’inflazione, in collaborazione con le istituende istituzioni
europee democratiche. È altresì da non dimenticare che le politiche di
austerità, applicate senza correttivi, distruggono ricchezza, specie quando un
paese è gravato da un elevato debito pubblico.
L’Italia deve lavorare, da subito,
insieme ad altri paesi europei, per promuovere indispensabili correttivi, quali
l’esclusione dal patto di stabilità delle spese in infrastrutture di interesse
comune, e investimenti ad alto moltiplicatore capaci di dare un contributo
rilevante sia alla domanda che all’occupazione. Una battaglia politica che, per
essere credibile, dovrà tuttavia essere accompagnata, nell'ambito nazionale, da
politiche di efficace risanamento, quale un’azione molto più decisa di lotta all’evasione
fiscale e alla corruzione, di contrasto alle mafie e agli sprechi di denaro
pubblico, di lotta alle disuguaglianze, di promozione della cultura e della
formazione.
Un’Europa Unita è prospettiva e futuro,
anche per una generazione che se ne sente già parte. Essa costituisce anche un
antidoto – parte essenziale dell’identità storica della sinistra italiana - ad una degenerazione della nostra politica
transatlantica che occorre riconoscere e correggere.
Crediamo che tale strategia di crescita politica, economica, democratica
dell'Europa non debba e non possa essere demandata alla destra che, per sua
sensibilità, e vocazione, è ispirata da grandi potentati economici e
finanziari, dall'interesse di nazionalismi; è frequentemente condizionata da
populismi opportunistici e strumentali, da suggestioni autoritarie; da una
prevaricazione dei diritti dei deboli. È invece
ricercando nel progetto europeo l'affermazione di obiettivi di eguaglianza,
democrazia, di cultura solidale, di crescita dei diritti civili e del welfare,
di convivenza pacifica tra i popoli, ci appare imprescindibile che la
costruzione di una diversa Europa attinga ai valori di una nuova sinistra
e diffidi radicalmente di quanti nel parlamento italiano guardano come proprio
modello agli schemi brutali del lepenismo, di Orban, dell'Europa di Visegrad o
alla stessa miope, attuale percezione di un' Europa malata, conservatrice ed burocratica
che trova nella violazione costante del principio di sussidiarietà un surrogato
alla sua mancanza di consapevolezza e vocazione politica.
Per il superamento della nostra subalternità
atlantica. Rapporti con gli Stati Uniti e con la Russia
L’operato dell’attuale presidente degli
Stati Uniti è sintomo e non causa del declino del potere relativo del suo paese
e delle difficoltà in cui versano le sue istituzioni. Accanto alla
Brexit, l’ulteriore militarizzazione della politica estera statunitense,
insieme alle crescenti minacce alla pace in Medio Oriente e al nuovo
protagonismo, non solo economico ma anche politico della Cina, sollecitano la
costruzione di un’Europa politica. Un mondo ormai irreversibilmente multipolare
(e multicentrico) rende urgente il rafforzamento e la riforma del sistema delle
Nazioni Unite. L’alternativa è quella di una pericolosa instabilità governata
da una Realpolitik ottocentesca, al servizio delle grandi potenze
e delle grandi corporazioni finanziarie transnazionali che a quelle fanno
riferimento.
In questo contesto l’Italia deve
liberarsi non dall’amicizia nei confronti del popolo americano, ma dalla sua
subalternità nei confronti degli Stati Uniti. Essa tuttora si manifesta, nella
nostra partecipazione, in forme subalterne, dispendiose di vite umane e risorse
pubbliche, ad azioni militari americane che si concludono regolarmente in
sconfitte politiche che hanno lasciato i paesi investiti fisicamente distrutti:
pericolosi motori di odio e di terrorismo. Non di rado questa condizione di
subalternità prevale anche su interessi economici italiani legittimi. Una
revisione in senso opposto della politica estera italiana si traduce
nell’immediato, in sede NATO, nel rafforzamento del polo di difesa europeo e in
una politica di autoesclusione (“opting out”), ove non esistano le
condizioni per l’esercizio di un potere di veto, di fronte a decisioni che non
corrispondono agli interessi strategici dell’Europa e del nostro paese. Si
tratta di un’innovazione necessaria quanto ardua della politica estera
italiana.
I rapporti con la Russia meritano
un’attenzione specifica. E’ nell’interesse dell’Europa, quindi anche nostro,
intrattenere rapporti pacifici e di scambio con la vicina Russia, senza cadere
in un’opposta subalternità. Sotto la guida di Vladimir Putin, la Russia ha
tentato di recuperare un ruolo da protagonista mondiale e di dominio regionale
(anche in risposta alla politica di espansione territoriale della NATO)
reagendo con iniziative unilaterali nei confronti di stati confinanti un tempo
parte dell’Unione Sovietica, come la Georgia e l’Ucraina, anche in violazione
del diritto internazionale. La conseguente ripresa della tensione tra
Washington e Mosca, quasi un ritorno alla Guerra fredda, ha trovato
potenti sostenitori da una parte e dall’altra. Dal punto di vista statunitense
essa ha giustificato la continua espansione della spesa militare, mentre la
NATO, che sulla carta è un’alleanza difensiva, va diventando un’alleanza
aggressiva. Nella logica di Mosca un ritorno sia pure temporaneo ad
un bipolarismo con gli Stati Uniti ha contribuito al rilancio di un’ambiziosa
politica estera che le consente un ruolo da protagonista nella perenne crisi
mediorientale.
Che tutto ciò avvenga soprattutto a
spese dell’Europa, è del tutto evidente. Le grossolane ambiguità
dell’amministrazione Trump, oscillante tra conflitti d’interesse, sia politici
che finanziari, nei confronti di Mosca, e la ripresa di una corsa agli
armamenti persino nucleari, costituisce un ulteriore stimolo ad una politica
estera europea indipendente e all’accelerazione di quei pur
timidi passi verso una difesa europea comune, ispirata a principi di sicurezza
umana, e, come passo intermedio, alla costituzione di un polo europeo
all’interno della NATO, da sempre osteggiato da Washington.
L’Italia nel Mediterraneo
La sua collocazione geografica rende l’Italia
un paese cruciale nella dinamica politica del Mediterraneo, teatro attuale di
numerose crisi.
Ribadiamo, in continuità con la politica
estera italiana ed europea, che nessuna pace sarà possibile in Medio Oriente
prescindendo dalla costituzione di due entità statali in Israele e Palestina.
Confermiamo la formula "due Stati due popoli" con pari dignità e pari
diritti. In coerenza con essa il processo negoziale andrebbe ripreso sostenendo
la fine dell'embargo di Gaza e affermando la libera circolazione dei
palestinesi nei territori e all'estero. Questa posizione risulta coerente
con quella assunta dalle Nazioni Unite con la risoluzione 212 del Consiglio di
Sicurezza e con lo status di Gerusalemme, confermato dal voto
recente di condanna dell’iniziativa unilaterale degli Stati Uniti. Sono,
invece, ingiustificabili, le concessioni del governo Gentiloni all’alleanza
promossa dagli Stati Uniti guidati da Trump, da Netanyahu e dall’Arabia
Saudita, prima sostenitrice del terrorismo di marca sunnita, contro l’Iran e
altre aggregazioni di ispirazione sciita e il contributo all’eccidio in corso
nello Yemen, con il sostegno di armi anche italiane.
La tragica vicenda del giovane
ricercatore italiano Giulio Regeni sequestrato, torturato e ucciso da agenti
del regime egiziano ha evidenziato l'inadeguatezza delle iniziative
diplomatiche messe in campo. I depistaggi e la mancata collaborazione delle
autorità egiziane con gli inquirenti italiani avrebbero dovuto rimodulare la
tempistica relativa al reinsediamento del nostro Ambasciatore al Cairo. Il
quadro ormai sufficientemente chiaro delle responsabilità di esecutori e
mandanti esige una verità processuale, quale condizione irrinunciabile per ridefinire
normali e funzionali relazioni.
Dal punto di vista della sicurezza e di
una corretta difesa dei diritti umani, gravi risultano le politiche condotte dal
precedente governo sul territorio libico, a partire da un intervento militare tragicamente
destabilizzante. Dopo una serie di
rivendicazioni velleitarie di un ruolo di punta dell’Italia nella successiva
occupazione militare del paese è subentrata, in fase di contenimento dell'immigrazione
verso l'Italia, la molto discussa azione dell'ex ministro Minniti. Con
metodi largamente condannati dagli alti commissari per i diritti umani dell’ONU
e del Consiglio d’Europa, il ministro dell’interno italiano, negoziando con
alcune tribù libiche, e con l’ausilio della guardia costiera locale, ha
condizionato pesantemente, in violazione di norme Costituzionali e
Convenzionali, l'opera di salvataggio di vite umane di
alcune ONG e della stessa guardia costiera italiana, nel tentativo in parte
riuscito di diminuire il flusso migratorio verso l'Italia, costringendo così i
rifugiati a restare in Libia, nelle drammatiche condizioni a tutti note. Ciò è
avvenuto mediante la trasformazione di scafisti in gestori di campi di
concentramento, teatri di ogni sorta di prevaricazioni nei confronti di vittime
inermi, al di fuori di ogni presenza, se non episodica, e di ogni controllo da
parte dell’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) e di
altro personale internazionale.
Quest’opera di contenimento
dell’immigrazione è stata completata, d’intesa con la Francia, dal controllo
dei paesi confinanti con la Libia, al fine di respingere migranti provenienti
dall’Africa subsahariana. In questo contesto va iscritto l’intervento militare
italiano nel Niger. Finora le successive politiche delineate dal governo
Gentiloni, atte a stabilire un controllo dell’UNHCR sui campi di detenzione e a
garantire corridoi d’accesso sicuri a 40.000 richiedenti asilo in Europa, sono
largamente rimaste sulla carta, servendo nel contempo a difesa d’ufficio dalle
critiche della comunità internazionale. Questa linea politica
trova largo consenso nei proponimenti del nuovo ministro dell'interno Matteo
Salvini che, quanto meno negli annunci, intende confermarla e proseguirla
aggravandone gli effetti in termini di riduzione dell'accoglienza e ampliamento
di respingimenti ed espulsioni. Teniamo conto
che continuerà anche l'opera, già iniziata, di delegittimazione e criminalizzazione
delle ONG e degli operatori del soccorso. Appare pertanto imprescindibile
sollecitare con rigore il governo Lega-5stelle al rispetto delle leggi e delle norme
vigenti e ad un pieno recupero della dignità umana nelle operazioni di
trasferimento ed ospitalità dei migranti.
L'Italia
e i Balcani.
Né l’Italia può
trascurare quanto avviene su un'altra sponda del Mediterraneo. Anche a seguito
del malessere economico diffusamente creato nei Balcani dalla crisi globale, la
prospettiva di stabilizzazione si va logorando. Mentre riprende un pericoloso
rigurgito di antichi nazionalismi, si registrano presenze sempre
più ingombranti dal punto di vista degli obiettivi e degli interessi
europei e italiani (Russia, paesi del Golfo, Stati Uniti, Cina e Turchia). Per
contenere una sottovalutata minaccia di conflittualità balcanica, occorre, da
parte europea e italiana alzare decisamente il livello di vigilanza e di
collaborazione, mirando alla stabilizzazione politica ed economica
dell'area. Per favorire la trasformazione dei Balcani in una regione di pace,
di benessere e di cooperazione solidale con l'Europa, occorre un rinnovato
impegno per favorire lo scioglimento dei nodi politici tra gli stati,
contribuire alla promozione della crescita economica, accelerare con oculatezza
le procedure d’integrazione nell’UE degli stati che ancora non ne fanno parte.
L’Europa e l'Italia non devono sottovalutare, come avvenuto finora, la
dimensione dell'impegno necessario né la gravità dei danni conseguenti a un
eventuale fallimento. Conditio sine qua non del successo sono
la cooperazione ai fini della riforma degli stati candidati in tema di potere
giudiziario e legalità, di funzioni amministrative e una lotta decisa alla
corruzione e alle pratiche malavitose.
Oltre al rafforzamento della cooperazione economica, non certo di
secondario interesse per l'Italia, inoltre, è il ruolo che può giocare la
nostra cultura attraverso progetti di promozione culturale, bilaterali ed
europei.
Migrazioni e immigrazione
Come abbiamo già detto rimane urgente la
necessità di una nuova politica comune europea riguardante l’immigrazione, a
partire dal varo di una legislazione comune che armonizzi davvero il diritto
d'asilo tra i 28 Paesi membri e ridistribuisca equamente gli oneri.
L’immigrazione non è solo una istanza
umanitaria cui la plurimillenaria civiltà europea non può sottrarsi, ma se si
traduce in una integrazione qualitativamente realizzata, è anche una risorsa di
rilevante importanza. Per quanto riguarda l'Italia essa contribuisce al
contenimento del deficit demografico, compensando la diminuzione delle nascite e la nuova emigrazione
di italiani; sostiene il nostro sistema previdenziale e fiscale; fornisce
energie e spirito di iniziativa nella soluzione di problemi di vita quotidiana
e di rinnovamento dell’economia; annoda rapporti commerciali e culturali
con i Paesi di provenienza; favorisce fenomeni di integrazione multiculturale.
A condizione tuttavia che il governo disponga di adeguate risorse, reperibili
solo attraverso una diversa politica fiscale e monetaria dell’Eurozona.
Un'integrazione di qualità, proficua
economicamente, socialmente, culturalmente, può originare da un'accoglienza
funzionale e dalla gestione della irregolarità,
che sappia accompagnare il migrante nell'itinerario integrativo, fornendo ad
esso servizi, risorse, capacità formative adeguate Le stigmatizzate
insufficienze del nostro sistema di accoglienza sul piano linguistico,
culturale e formativo richiedono una riforma profonda delle responsabilità
gestionali, delle competenze e della vigilanza sulle attività relative all'accoglienza. Vanno
pertanto rigettati I propositi del Governo 5Stelle-Lega di riduzione delle
risorse destinate all’accoglienza, riconoscendo il ruolo positivo delle ONG
nelle operazioni di salvataggio.
La proposta di riforma del 2017 del Regolamento di Dublino maturata nell'Unione Europea va, a nostro avviso, nella direzione giusta: supera l'obbligo di asilo nel primo paese di arrivo; introduce importanti novità sotto il profilo dell'accoglienza privilegiando la collocazione dei richiedenti asilo in quei luoghi (nazioni europee) dove essi hanno legami parentali e di comunità forti e stabili, riducendo così non solo i costi dell'accoglienza ma soprattutto i patimenti e i costi umani di chi fugge da guerre, fame e miseria.
Temiamo che tale processo possa subire
pericolose involuzioni e nonostante la bocciatura della proposta della Presidenza
bulgara in sede di Consiglio dei ministri dell'interno dell'UE tenutosi a
Lussemburgo il 5 giugno scorso, urge per l'Italia una nuova intesa dei Paesi UE
sotto l'egida di una equa distribuzione dei richiedenti asilo e di una
collocazione che tenga conto dei legami parentali e di comunità dei
richiedenti.
Si tratta per l'Italia di attivare un
processo negoziale che favorisca una conveniente ed efficace forma di
compromesso tra le diverse posizioni espresse a Lussemburgo, partendo dalla
consapevolezza che tra i membri più lontani dalle nostre posizioni vi sono
proprio quelli aderenti al gruppo di Visegrad, nei confronti dei quali, il
nostro Governo vanta una esplicita vicinanza.
Il fatto storico delle migrazioni che investono in particolare l’Europa esige anche un salto di qualità da parte dell’Unione europea nei confronti del continente africano nel suo insieme con politiche europee più coerenti: coerenza delle politiche commerciali (evitando accordi sbilanciati e/o dannosi, anche attraverso politiche attive di trasparenza e controllo, in particolare sulla tracciabilità delle materie prime importate e sul rispetto dei codici etici relativi alla responsabilità d'impresa secondo il Global Compact delle Nazioni Unite), politiche fiscali (evitando di agevolare l’elusione fiscale in Africa), e politiche della cooperazione più efficaci, che sostengano istituzioni democratiche, lo sviluppo sostenibile e non si esauriscano in misure di sicurezza gestite da eredi di presenze coloniali.
Iran e la questione nucleare
Per quanto riguarda l’Iran, è evidente
che l’accordo nucleare vada onorato da tutti. Se Teheran lo rispetta - questo è
il giudizio dell’Agenzia Atomica Internazionale -, anche Washington deve rispettarlo.
Poiché gli Stati Uniti intendono seguire una strada
diversa, ciò richiede l’inizio di una nuova, necessaria indipendenza di azione:
quel decoupling su cui cominciare a costruire l’Europa
politica. In assenza di violazioni del trattato sottoscritto dall’Iran, non
solo l’Europa non può e non deve applicare sanzioni nei suoi confronti, ma deve
prendere adeguate contromisure nei confronti di sanzioni statunitensi nei
confronti di società europee che ad esse non si adeguano. A questo proposito va
tenuto presente che il trattato di non proliferazione nucleare (TNP) può
reggere la prova del tempo soltanto se viene attuato in tutte le sue parti,
compresa quella che impone l’obbligo alle potenze nucleari di procedere sulla
via del disarmo, e se viene estesa alle potenze nucleari non firmatarie (ad
esempio, Israele), postulando l’obiettivo di una denuclearizzazione dell’intera
area mediorientale tale da sottrarre l’Iran ad una condizione in cui risulta
circondata da potenze nucleari (India, Pakistan, Russia, Israele)
Solo l’apertura economica, culturale e
politica tra quel paese e la società internazionale potrà creare le condizioni
per un graduale cambiamento di atteggiamento da parte del regime nei riguardi
della società civile interna e dei diritti umani. E’ invece indispensabile
chiedersi se una politica punitiva nei confronti del regime favorisca o
indebolisca l’opposizione interna. La storia insegna che le sanzioni (con
l’eccezione, forse, di quelle che precedettero la fine dell'apartheid in
Sud Africa), rafforzano il regime colpito dalle sanzioni stesse.
Non v’è dubbio che l’Iran sia una
dittatura teocratica con un pesante deficit di rispetto dei diritti umani.
Ciononostante, per evitare che quel paese resti isolato dalla comunità
internazionale o peggio che segua il destino dell’ex-Jugoslavia o della Siria,
esso andrebbe aiutato a incorporarsi a pieno titolo nella dinamica dei rapporti
internazionali. La sua sicurezza non va minacciata, come fanno quotidianamente
americani e israeliani, in appoggio alla politica anti-sciita dell’Arabia
Saudita, mentre la sua economia andrebbe aiutata ad integrarsi con l’Europa e
l’Occidente. In tal modo - senza spargimento di sangue e nel rispetto delle
caratteristiche storiche, culturali, religiose di quel popolo –potrebbero
crearsi le condizioni per una graduale apertura politica, una diversa
attenzione ai diritti umani e alle libertà civili, e un giorno forse finanche lo
sviluppo di istituzioni democratiche.
In Medio Oriente, ancor più che altrove,
la pace deve diventare la stella polare della politica europea. L’Italia e
l’Europa devono porre al centro della loro azione il dialogo e la soluzione
pacifica delle controversie, unendo alla pazienza utili incentivi quali un
serio programma di aiuto allo sviluppo e il sostegno alla costruzione di
istituzioni politiche inclusive, agendo direttamente o attraverso le
organizzazioni internazionali, in primo luogo le Nazioni Unite.
La Cina, sempre più vicina
Come per altri paesi, anche per l’Italia
la Cina è oggi un paese imprescindibile sotto il profilo economico, e sempre
più sotto quello politico. Per giungere a un’interazione bilanciata con il
gigante cinese servono però conoscenza, efficienza e una rete di relazioni con tante
nervature del sistema cinese, di cui oggi l’Italia non è in possesso.
Sui temi commerciali i trattati hanno
trasferito all’Unione Europea quelle competenze un tempo gestite dai singoli
stati. La Germania è oggi, insieme alla Finlandia, l’unico paese a registrare
un avanzo commerciale con la Cina, con il risultato che Berlino impone
all’Europa unaChina Policy funzionale ai suoi interessi attraverso
il forte peso che esercita sulle istituzioni dell’Unione. L’Amministrazione
italiana dunque, dopo aver acquisito una genuina e approfondita conoscenza del
mondo cinese e del funzionamento del commercio e dell’economia internazionali
ad esso correlati, dovrebbe far sentire più forte la sua voce – sul piano
bilaterale ed europeo - affinché le relazioni con la Cina divengano
gradualmente più bilanciate.
Un habitat anche nostro
La ricerca di una politica
di salvaguardia dell’ambiente rende esemplare l’intreccio tra
qualsiasi obiettivo significativo a livello nazionale e la continuità di un
impegno a livello globale, di cui costituiscono esempi significativi la piena
applicazione del trattato di Parigi e l’esigenza, grazie anche ad una
iniziativa italiana per la convocazione di una conferenza mondiale,di sottrarre
i circoli polari a teatro di rivalità tra gli stati territorialmente in
competizione ai fini di sfruttamento energetico. Il nostro paese offre delle
potenzialità straordinarie per una nuova economia fondata sulla conversione
ecologica, sulla salvaguardia e valorizzazione dei beni ambientali e culturali.
Per la ricchezza delle sue risorse, ma anche per l’urgenza ovvia della loro
tutela, esse offrono ampie possibilità di salvaguardia dell’ambiente, restauro
e valorizzazione di tesori culturali (si pensi ai borghi medievali abbandonati
e al loro potenziale di sviluppo agricolo, pastorale, boschivo e turistico),
una nuova agricoltura biologicamente corretta e, di conseguenza, di crescita
dell’occupazione specie giovanile, integrazione dell’immigrazione e
persino di trasformazione di beni sottratti alla criminalità
organizzata.
Uno Stato all’altezza delle sfide globali
Recenti episodi, non soltanto l’operato
di Minniti in Libia, segnalano il rischio che la politica estera sia
sequestrata da quella preposta alla sicurezza interna, nel caso dell’Italia,
con un ruolo del ministero dell’Interno e dei servizi di sicurezza che sfugge
al controllo del Parlamento. Oltre al problema che ciò pone dal punto di vista
della salvaguardia democratica della Repubblica, è necessario che la politica
di sicurezza non ostacoli, ma contribuisca a garantire la promozione della
politica culturale e ambientale del paese, a fondamento dello sviluppo di una
nuova e diversa economia.
Qui basti dire che la Farnesina non deve
sottovalutare il ruolo e il peso che la promozione delle nostre risorse
culturali ed ambientali deve assumere nel contesto della politica estera
italiana. Alla nostra diplomazia, coadiuvata dalla rete degli istituti di
cultura, spetta naturalmente il ruolo di coordinamento e di sintesi dei
soggetti e delle energie che si muovono in questa direzione.
Va radicalmente ripensato il meccanismo
con cui viene gestito il voto degli italiani all’estero. In termini più
generali il corretto funzionamento delle istituzioni statali, una profonda
riforma di ogni ambito della pubblica amministrazione per renderla
pienamente trasparente, con funzionari responsabili (accountable) ed
efficienti, affinché gli uffici pubblici siano davvero al servizio dei
cittadini, la semplificazione legislativa, il rispetto della legalità, la lotta
senza quartiere alla corruzione e la promozione dell’integrità come valore
pubblico costituiscono condizioni senza le quali un’efficace proiezione di
nostri interessi legittimi e della stessa politica estera italiana resteranno
delle semplici affermazioni di principio.
Se sotto la superfice alberga
un’immagine dell’Italia assai poco consolatoria, le sue criticità sono da
attribuire ai mali storici di una governabilità inadeguata, un apparato
amministrativo in larga parte obsoleto, corruzione diffusa, criminalità
organizzata invasiva, ostilità normativa e amministrativa verso il mondo del
lavoro e dell'impresa. Debolezze che hanno esposto il paese ai pesanti
contraccolpi dovuti a una globalizzazione senza regole subita senza reti
protettive da un’economia esposta sui costi e con minime capacità
d'innovazione.
Solo un pieno recupero di efficienza
dello Stato, una sua capacità di generare idee e attuarle con trasparenza e
agilità, potrebbero consentire all’Italia un ruolo cruciale nella costruzione
di un’altra Europa, totalmente diversa da quella attuale.
Conclusioni operative
Queste riflessioni minimamente approfondite
sono a disposizione di chiunque avesse l’ambizione di interrompere l'assordante
silenzio della politica internazionale nella discussione pubblica. In
conclusione ci sentiamo di sostenere alcuni elementi di analisi e proposte
operative.
In estrema sintesi:
a) La crisi italiana è parte di una
crescente ineguaglianza, di un conseguente indebolimento della democrazia e dei
diritti di libertà in tutto l’Occidente, delle disfunzioni funzionali e
perequative nell'ambito dell'Unione Europea.
b) Per farvi fronte è necessaria
un’Europa sempre più unita, ma anche più democratica; soprattutto ispirata ad
una politica, alternativa a quella vigente, esempio di pace e di maggiore
eguaglianza.
c) Noi ci battiamo per alcuni obiettivi
immediatamente realizzabili, anche dalla sola Italia, che rappresentino un
nuovo e diverso indirizzo dei nostri rapporti internazionali. In particolare:
1.
la firma del trattato
per la messa al bando delle armi nucleari;
2.
piena trasparenza e
discussione in Parlamento degli accordi che regolano la presenza militare di
forze armate straniere su territorio italiano;
3.
immediato ritiro delle missioni italiane
in Afghanistan, Libano e Iraq, dal momento che esse non portano alcun beneficio
all’Italia, ma si limitano a perpetuare la subordinazione politica anche di
questo governo giallo-verde nei confronti del dominio americano per aver perso
una guerra oltre 70 anni fa;
4.
il
perseguimento della piena occupazione in ogni possibile modo;
5.
la lotta alle
disuguaglianze, alla criminalità organizzata e all’evasione fiscale;
6.
la tutela dei
servizi sociali, sanità, potere d’acquisto delle pensioni, lotta ai privilegi;
7.
l’abolizione
della norma costituzionale del pareggio di bilancio approvata dal Parlamento
nel 2012;
8.
una forte
opposizione presso le Istanze europee contro il Fiscal Compact, approvato dal
Consiglio Europeo il 30 gennaio 2012, e contro il quale si era espresso persino
il Parlamento Europeo, pronunciamento questo del tutto ignorato dal Consiglio
Europeo, dominato dalla Germania;
9.
L'immediata
cessazione della fornitura di armi a stati e fazioni belligeranti (seguendo
l’esempio della Svezia riguardo allo Yemen);
10.
il riconoscimento
dello stato della Palestina con relativo scambio di ambasciatori;
11.
immediata
approvazione di una legge che riconosca diritto di cittadinanza a coloro che
sono nati in Italia o che vi abbia realizzato un’adeguata e duratura formazione
scolastica.
Gian Giacomo Migone
Alessandra Ballerini
Mario Bova
Alberto Bradanini
Tana de Zulueta
Maurizio Gressi
Roma 22 giugno 2018
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